Renato Spagnoli

 

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Acquasanta Terme 1971

Foto Alfredo Libero Ferretti

 

LUCIANO CARAMEL

 

Presentazione in catalogo

Pinacoteca Comunale, Macerata

1981

 

 

Alfabeto e ambiente

 

Da oltre quindici anni Renato Spagnoli insiste con puntiglio su di un'unica direttrice di ricerca, ancorata ai segni alfabetici. Dai primi quadri con fittissime accumulazioni lineari di lettere ai recentissimi ambienti in cui il singolo segno si accampa dilatato e dominante, egli ha proposto un lavoro di rara coerenza sistematica, in un continuum legatissimo, eppure mai ripetitivo, mai monocorde, anzi sorprendentemente vario e innovativo, come questa mostra antologica permette di costatare.

E appunto l'occasione qui offerta di verificare, e confrontare, i risultati dell'ormai lungo itinerario dell'artista livornese invita a considerazioni sul senso globale di questo conseguente operare. Sul posto, innanzi tutto, che esso occupa entro la fenomenologia, come ben si sa assai articolata e differenziata, delle esperienze che al rapporto tra parola e immagine si riferiscono. Il facile accostamento alla «poesia concreta» è infatti dei tutto inadeguato. Ed anzi inesatto, come già ha notato opportunamente, in un testo dei 1970, Lara Vinca Masini, osservando che Spagnoli «ha sempre teso a tradurre visivamente, concretamente, e non foneticamente, i “segni" nella loro carica espressiva formale, nell'ambito della visualità, al di là dei loro significato analogico».

Certo, come ancora notava la studiosa, "le incidenze e le relazioni con la Il poesia concreta" sono sempre state in lui evidenti». Comune è la volontà di usare i segni dei linguaggio verbale come immagini e di non utilizzare commistioni di parole e immagini, come invece gli autori legati alla cosiddetta «poesia visiva». Comuni il privilegiamento assoluto degli elementi visuali ‑ spaziali, compositivi, grafici su quelli sintattico‑linguistici, l'intenzionalità oggettivante, il rigore strutturale. Comune, infine, almeno con i "concretisti" europei, come un Gomringer, l'aggancio alla tradizione razional‑costruttiva dei Neoplasticismo, della Bauhaus, dell'arte concreta zurighese degli anni Trenta. Non coincidenti, peraltro, l'ascendenza letteraria (da Mallarmé ad Apollinaire a Marinetti), nel concretismo essenziale, ed i conseguenti obiettivi linguistico verbali (e fonetici) oltre che visuali. Assente, in particolare, in Spagnoli, l'attenzione per le valenze semantiche, rilevanti, spesso, nel concretismo, e sempre non ininfluenti, anche quando siano poste per essere deviate o contraddette. L'interesse, in lui, e tutto per il significante. Ecco, quindi, non solo l'accantonamento di grammatica e sintassi, ma l'appuntarsi sulla lettera piuttosto che sulla parola, inevitabile veicolo, questa, di significato, mentre la prima, grado ultimo di segmentazione della catena verbale, porta di necessità a lasciar «dietro di sé ogni preoccupazione di natura semantica per rivolgersi decisamente alla considerazione dei materiali dei linguaggio stesso» (Pignotti), e quindi all'elaborazione di rapporti solo visivi. Il che è ulteriormente accentuato dalla scelta esclusiva, o quasi, di un'unica lettera, la A, che impedisce il rimando a qualsiasi significato estraneo alle soluzioni visuali. Di qui la possibilità di addentrarsi nella fondazione di rapporti plastico spaziali dei tutto autonomi ed all'opera interni.

Siffatti propositi erano già evidenti in quel primi lavori di Spagnoli, dei 1964, in cui, ancora con un allineamento orizzontale gutemberghiano, le lettere venivano ossessivamente ripetute, con variazioni solo grafiche, con la conseguenza di cancellare ogni possibilità di lettura simbolica. Con tutta evidenza si trattava unicamente di ridondanti accumulazioni di segni plastici, rigettanti spessori ideogrammatici. Con una propositività forse troppo trasparente, ribadita nelle opere eseguite tra il 1965 e il 1967, ove all'accumulazione si sostituisce la sottrazione. Attraverso sovrapposizioni, slittamenti, tagli, diversificazioni cromatiche provocanti elementi di disturbo, l'artista cancella la riconoscibilità dei segnolettera (e quindi ottiene connessioni la cui logica è solo visiva), con procedimenti accostabili, ad esempio, a quelli usati da Spatola negli «Zeroglifici» o da Franz Mori nelle «Poesie di superficie», che Spagnoli estende nel 1969 su scala ambientale, con il ricorso, tra l'altro, al metacrilato, che moltiplica le interferenze, consentendo esiti non solo nuovi, ma riccamente espressivi. I «segni», come tempestivamente, nel 1970, nello scritto citato, riconosceva la Masini, «si sono, man mano, dilatati, scomposti, trasformati, fino a divenire soltanto ottico‑percettiva, in moduli speculari, in ribaltamenti, sovrapposizioni di superfici trasparenti sulle quali i "segni" si collocano in funzione di "impressione" coloristica pura, a creare un gioco suggestivo (e illusorio) di riflessi, di ombre, di spostamento successivi di piani». Col che l'autore esce definitivamente dall'indagine propedeutica, come subito provano i lavori degli anni successivi, nei quali appunto la dimensione espressiva assume il ruolo di protagonista. Non certo rinnegando la ricerca di base. Piuttosto utilizzando le possibilità da essa derivanti. Con una libertà che non coarta l'oggettività dell'immagine, con un'articolazione che non ne intacca l'unità, con un analiticità che non frena la fantasia e l'immaginazione e dove la riconoscibilità dei segno‑lettera (esplicita o implicita, esibita o da scoprire) è insieme elemento sostanziale dei ritmi inventivi e strumento per la loro individuazione. Sino agli ultimi ambienti, realizzati nel 1979‑80, nei quali il consueto segno alfabetico «diventa oggetto d'ambiente, che costituisce l'ambiente o, meglio, la sua giustificazione» (D'Amore), provocando modificazioni topologiche e stimolando, grazie anche all'impiego dell'anamorfosi, reazioni attivizzanti nel fruitore, oltre ogni assertività riduttiva, ogni meccanica consequenzialità.

 

Luciano Caramel

 

 

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